In periodo di vendemmia, dalle vigne a bacca bianca di Trebbiano, San Colombano e Malvasia del Chianti, i vendemmiatori più esperti scelgono le migliori ciocche d’uva fra quelle più mature, più esposte al sole, e con gli acini più radi e buccia più dura. L’uva raccolta viene ripulita manualmente da eventuali acini secchi o non completamente sani. La selezione è talmente oculata che ogni anno di circa 900 quintali di uva ne vengono presi solo 30 per la produzione del Vin Santo.
L’uva selezionata, chiamata tradizionalmente “lo scelto”, viene portata nella vinsantaia, locale a bassa umidità appositamente costruito per essere particolarmente areato. Qui l’uva viene appoggiata delicatamente su stuoie di canne, la particolare attenzione a non rompere gli acini è dovuta al pericolo del marcimento che è causa di un abbassamento della qualità del prodotto finito. Per poter sfruttare maggiormente gli spazi, le stuoie vengono sovrapposte formando quello che viene definito un “castello da governo”. L’obiettivo di questi procedimenti è, infatti, far perdere all’uva la parte acquosa conservando quella zuccherina senza però comprometterne la sanità.
Per tradizione, sotto le feste natalizie ed avendo cura di scegliere il periodo di Luna calante (in “linguaggio contadino” detta Luna “dura”), tolti i raspi e scartati eventuali acini ammuffiti, è il momento di spremere l’uva ormai passita.
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Prodotto dalla famiglia Banci fin dal 1890 con procedimento tramandato dall’antica tradizione toscana, è un vino dal profumo intenso e sublime, dal color ambra con riflessi dorati.
A questo punto non siamo neanche a metà dell’opera, il mosto appena ottenuto viene messo nei “caratelli”, piccole botti di legno solitamente di rovere o castagno dalla capienza variabile di 50-200 litri. E’ importante che il caratello non sia nuovo, devono essere usati caratelli in cui un tempo veniva affinato vino rosso, ci vogliono anni prima che un caratello diventi idoneo alla produzione di Vin Santo. Particolare cura deve essere posta nel riempire il caratello, il mosto non deve superare i due terzi del volume sopportato. La parte superiore dei caratelli, lo “zaffo”, viene murata con del cemento, per non sottoporre il mosto ad eccessiva ossigenazione, non è necessario più ossigeno di quello che penetra inevitabilmente dai pori del legno, sul cemento viene inoltre impresso l’anno di produzione.
Anche i caratelli vengono tenuti nella vinsantaia, questo perché il liquido deve subire tutte le variazioni termiche che le stagioni comportano per almeno 4 anni.
Passato questo periodo i caratelli della stessa annata vengono stappati e dagli “zipilli”, foro sulla parte bassa, esce del Vin Santo grezzo, da ogni caratello si ricava soltanto 1/5 di liquido atto a divenire Vin Santo del Chianti D.O.C., mentre il rimanente è fondata non utilizzabile. Ogni caratello ha trasformato il Vin Santo in modo peculiare, da uno può sgorgare un liquido più secco, da un’altro più ambrato, solo mescolandoli tra loro si ottiene una parvenza di continuità di gusto negli anni, e non di poco conto una più facile gestione. A questo punto ha solo bisogno di decantare in recipienti di vetro o di acciaio, il liquido ha bisogno di spogliarsi ed acquistare la sua brillantezza tipica per il periodo necessario che in media si aggira su i 2 anni. Ormai il nostro compito è finito, è il momento di chiamare gli ispettori del Consorzio Vino Chianti per l’ufficializzazione, questi prelevano i campioni, ne analizzano le caratteristiche organolettiche e dopo l’approvazione è finalmente pronto per essere imbottigliato e finalmente bevuto.
Una tradizione di famiglia diventata una passione, un procedimento decisamente lungo che vale la pena percorrere alla lettera… assaggiare per credere.
CAV. GIUSEPPE BANCI